Intervista a Eric Lewis (27/07/2010)

PARTE PRIMA - giù dal palco
Eric ha appena terminato di firmare autografi all'interno della casa delle ombre di Marilena.
Lui per primo sembra non credere di trovarsi in un camerino di tela bianca sorretto da tronchi grezzi di acacia, circondato da pesci galleggianti nell'aria notturna.
Sembra essersi dimenticato il Gatorade e i pop corn (da lui richiesti come parte del rider tecnico), per la gioia dei nativi: un americano in terra di Romagna non può e non deve mangiare pop corn davanti a un esercito di azdore pronte a offrire antipasti, dolci, carni, verdure, contorni e pasta.
E poi, il Gatorade? Noi si pensava al vino rosso e, in alternativa, a quello bianco.
Elew ha dato il massimo, ora è stanco e sudato, e allora servono gli asciugamani bianchi di Vincenzo, tanto comodi che partiranno per gli Stati Uniti con il pianista. Una brillante opportunità, dopo anni di onorato servizio a fare da coprisedili.
Elew è stanco, ma è anche sorpreso: sorpreso dal posto che lo circonda e dalle genti che lo popolano. Per questo non vuole rinunciare a conoscere più da vicino gli artefici delle balle.
Elew è stanco col corpo, ma non con la mente.
Allora, come ti è sembrata l'arena?
La amo. E' stato fantastico. Amo la paglia, amo l'aria, amo le persone. Mi sono divertito un sacco.
Sei stanco?
Non esattamente: più che altro sono provato. E' sempre piuttosto difficile suonare in quelle posizioni, stando in piedi, c'è un grande dispendio di energia. Però amo suonare in quel modo e diciamo che più che stanco, ho bisogno di sgranchirmi un po'.
Senti, ma cosa ne pensi di Mario?
E' un uomo libero. E' un animale, come me.
Hai mai suonato in un posto che assomigliasse a questo?
Mai.
Fammi fare una domanda stupida: che differenza c'è tra suonare qui e suonare per gli Obama?
E' semplice: qui siamo all'aperto, per Obama era al chiuso. La seconda differenza è data dalle persone, questo assomiglia più a un rave party.
Attorno a lui, mentre si riempiono i bicchieri di vino rosso, viene lanciato un brindisi alla serata e a Eric Lewis. Lui, ancora un po' spaesato, apprezza l'entusiasmo e l'improvvisazione che lo circondano, è divertito e ride a chi gli parla in italiano, senza capire; anche chi lo ascolta parlare in inglese ride. E' uno scambio alla pari, di sorrisi, di buon umore: non serve poi tanto capirsi quando regna il buon umore, in una notte che è magica anche senza i mondiali.
Ora si va sul fiume, sul Senio, ad ammirare l'arena dall'alto.
Let's do it: “Facciamolo!”

PARTE SECONDA - su dal fiume
"Dov'è la ragazza che si occupa di politica?"
E' andata via.
"Ah."
Il fascino di Daniela (assessore per i più, sindaco per Terry) ha colpito anche gli Stati Uniti.
Com'è di solito l'atmosfera ai tuoi concerti? Assomiglia a quella che hai visto qui questa sera?
Quel che faccio è una combinazione di qualcosa che per la gente è strano e familiare allo stesso tempo. Trasporto musica per chitarre elettriche sul pianoforte, che è uno strumento noto in tutto il mondo, ma il modo in cui lo suono io lascia tutti sorpresi. Tutti si aspettano una suonata per pianoforte, e quando vedono che inizio ad alzarmi e a muovermi, eseguendo brani che vengono da tutto un altro genere, rimangono stupiti.
Quando hai iniziato a suonare?
Quando avevo due, tre anni.
Dunque davvero prestissimo...
Sì, sono cresciuto in una casa con quattro pianoforti. Mia nonna e mia mamma davano lezioni a tutto il vicinato, praticamente la mia casa era una scuola di musica. Per me all'inizio suonare era come una qualsiasi altra faccenda di casa, come tagliare l'erba o lavare i piatti.
Cosa ne pensi degli Stati Uniti? Cosa significa vivere a New York? Fingi di doverlo spiegare a qualcuno che non sappia nulla di quel mondo, che non abbia nemmeno visto i film di Hollywood.
La cosa interessante di New York è che ci sono un sacco di opportunità, tutto quello che serve per fare qualsiasi cosa ti venga in mente. Ma devi anche essere forte spiritualmente, perché ci saranno sempre altre persone con le stesse idee che lotteranno per i tuoi stessi obiettivi. E' come un gioco di scacchi. Lo chiamiamo “hustle”, trambusto.
Siamo arrivati in cima alla sponda del fiume, ci fermiamo tutti ad ascoltare i rumori della notte, mentre Elew si guarda attorno affascinato. In lontananza, i grilli e l'echeggiare di qualche frammento di discorso in dialetto romagnolo.
Credi che suonerai di nuovo in un posto come questo?
No, questo resterà un ricordo profondo.
Torneresti l'anno prossimo con Obama?
Certo. Farò del mio meglio per portarvelo.
Si scherza.
Squilla un pianoforte: è il cellulare di Elew.
Pausa.
L'artista osserva la luna di Cotignola, al telefono con un altro posto nel mondo.

PARTE TERZA - quindi?
"Mi piace la creatività, come piace a questo animale qui (Elew indica Mario). Anche io sono un animale".
“Io sono un cavallo: tudum tudum tudum!”, interviene Mario, che ancora non aveva battuto la testa.
Mentre Eric continua a guardarsi attorno, gli facciamo notare lo spettacolo offerto dalle acacie, tutte in fila, tutte alte uguali e tuttavia completamente selvatiche.
"Questo per me è come un sogno. E' così fantastico che potrei dormire qui. Voi avete dormito qui?"
Sì, certo.
Anch'io voglio dormire qui. La prossima volta, se ci dormite voi, ci dormo anche io. Vi prometto che se voi ragazzi organizzate questa cosa la prossima estate facciamo un party notturno.
Però niente Gatorade, solo vino.
Il Gatorade prima di suonare, il vino dopo.
Ma come la mettiamo con l'ingaggio?
Non preoccupatevi, entro l'anno prossimo sarò ricco. Ora vi dico l'unica cosa che dovete fare per me: tutto ciò che mi serve è che il mio nuovo video (Smells Like Teen Spirit dei Nirvana) sia diffuso il più possibile; voi durante i prossimi mesi dovete aiutarmi a divulgarlo, perché più divento popolare, più sarà facile per me potere tornare qui gratis.
Questo sarà il mio albergo, è davvero perfetto. Potrei anche venire un giorno prima, così mi fate conoscere meglio il posto.
Eric, è tutto registrato.
Lo so, non preoccuparti. Non ho mai detto queste cose altrove: non è una promessa ardua.
Arriva la notizia che Marilena si è messa ai fornelli per regalare a tutti un pasto notturno. Eric è entusiasta, perché non ha ancora toccato pasta da quando è in Italia, e questa si appresta a essere l'occasione giusta.
"Ora che ci siamo mossi mi stanno tornando le energie. Suonare il pianoforte da tutte quelle posizioni è come fare yoga, è doloroso, devo perdere peso per essere più performante per il prossimo tour".
Ma com'è che ti è venuto in mente di suonare in quel modo?
E' una combinazione di due fattori: il primo è che amo ballare; il secondo è che mi sono accorto che, se voglio diventare una star, devo dare ai fotografi qualcosa di entusiasmante da fotografare. I pianisti generalmente, anche quando fanno bella musica, sono noiosi da osservare.
Inoltre così è più difficile per gli altri rubarmi lo stile: se vogliono essere come me, devono soffrire come me; diciamo che assomiglio più a un chitarrista.
Il microfono si spegne qui. Elew, che a suo dire così stanco non era, si addormenterà a tavola, svegliato solamente dai tagliolini al pesto di Marilena.

Intervista di Matteo Mingazzini, registrata la notte del 25 luglio 2010, dopo il concerto all'Arena