Cotignola, paese "giusto tra le nazioni" (07/04/2017)

Fin dai primi anni del 1940, dopo l’approvazione delle leggi razziali da parte del governo Mussolini e l’entrata in guerra dell’Italia, i cotignolesi cominciarono ad incontrare, nel loro paese, delle persone sconosciute, che connotarono famigliarmente come “i sfulè” (gli sfollati).
Erano famiglie fuggite dalle zone ritenute meno sicure e in seguito alle limitazioni e alle difficoltà indotte dalle leggi razziali in vigore.

Ma fu l’estate del 1943 a contrassegnare il progressivo e tangibile deterioramento della vita anche nei centri minori, che culminò, dopo l’8 settembre, con l’occupazione nazi-fascista di tutto il settentrione.

La Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) con l’appoggio delle truppe e della polizia nazista rese risolutiva l’ordinanza del Ministero degli Interni nei confronti degli Ebrei, rei di inquinare la purezza della “razza ariana” personificata, al suo meglio, dalla stirpe germanica. Essa stabiliva la confisca dei loro beni e il loro trasferimento nei lager, dove era stato programmato lo sterminio.

“I beni sequestrati –così diceva l’ordinanza- saranno devoluti alle popolazioni rimaste sinistrate dalle incursioni aree nemiche”. In realtà andarono a far parte del “bottino di guerra” degli occupanti e dei responsabili della R.S.I.

Attraverso proclami perentori, si minacciavano i trasgressori di provvedimenti punitivi gravissimi, se avessero ostacolato la polizia nelle azioni di ricerca e di cattura degli Ebrei.

Diventava quanto mai azzardato aiutarli e nasconderli.

Oltretutto il rischio di delazioni era sempre presente.

Nonostante questo, gruppi via via più numerosi di Ebrei cominciarono ad approdare a Cotignola in cerca di asilo.

Sia Michele Bassi, storico cotignolese, che Luigi Casadio, partigiano, nelle loro pubblicazioni sull’argomento, sono concordi nell’affermare che ciò fu possibile grazie a Vittorio Zanzi.
Conosciuto e stimato dalla popolazione per la sua onestà e generosità (gestiva un negozio di macellaio) non aveva mai fatto mistero della sua appartenenza politica al Partito Repubblicano, con i dirigenti del quale, nella clandestinità, aveva mantenuto contatti.
In quel momento egli rivestiva la carica di “Commissario Prefettizio” in sostituzione del Podestà (carica che egli accettò anche su sollecitazione degli amici antifascisti), sebbene fosse stato sottoposto, negli anni precedenti, a “continua vigilanza” da parte della polizia perché sospettato di “sentimenti contrari all’ordine nazionale dello Stato. Ciò gli consentì di stendere nel territorio cotignolese una funzionale rete operativa a favore dei perseguitati di qualsiasi estrazione e provenienza, senza “dare nell’occhio”.

Si avvalse, in tutto questo, della segreta complicità del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) locale attraverso la stretta collaborazione con uno dei suoi rappresentanti, l’avvocato Domenico Taroni; dell’aiuto provvidenziale e disinteressato del Prof. Luigi Varoli, pittore ed anima artistica di Cotignola, e dell’appoggio dei sacerdoti delle frazioni e del capoluogo, fra i quali don Stefano Casadio.

Tra gli altri cotignolesi, alcuni impiegati degli uffici chiave del Comune gli fornirono documenti falsi utili ai ricercati; poté contare inoltre sulla rete di accoglienza offerta da numerose famiglie.

Il 17 maggio 1944 tutto ciò venne messo in pericolo dall’arresto di Vittorio Zanzi che fu condotto nelle carceri di Ravenna e sottoposto a pressante interrogatorio. L’accusa formulata attraverso una delazione era grave e comportava la pena di morte, ma fortunatamente, non faceva riferimento agli Ebrei, aiutati e nascosti a Cotignola.
Dopo qualche giorno egli venne rilasciato, perché la denuncia era stata inoltrata “tramite indiscrezioni fatte da un individuo in stato di ebbrezza, destituita perciò di fondamento”.

A succedergli, nell’incarico fino allora rivestito, furono – tra gli altri - don Vincenzo Poletti di Solarolo e, per soli dieci giorni, Paolo Ceroni, cotignolese, meccanico di biciclette (Pàla d’l’Uficina).

Tutti i nuovi incaricati non pregiudicarono in alcun modo la rete di accoglienza che si concluderà positivamente il 10 aprile 1945.

Esiste, negli archivi comunali, un carteggio con decine di testimonianze di Ebrei sopravvissuti allo sterminio grazie a Vittorio Zanzi e ai suoi concittadini.

Sono 41 gli ebrei che, dal 1943 al 1945, furono accolti e salvati.

Recentemente gli scolari della Scuola Media “Luigi Varoli” in una loro ricerca sull’argomento, hanno coniato per lui l’appellativo di “Perlasca di Cotignola”.
“Con una differenza –chiarisce la figlia Ernesta- mio padre non è mai stato iscritto al Partito nazional fascista”.

A Cotignola è stato allestito, in via Lungo Senio del Fronte, il Parco della Solidarietà, in ricordo degli Ebrei salvati dalla Shoa.

L’Ambasciata d’Israele in Italia ha riconosciuto a Vittorio Zanzi e a Luigi Varoli la qualifica di “Giusto”.

A cura di Afra Bandoli
dell’associazione culturale Primola di Cotignola