Il 10 aprile 1945 di Don Stefano Casadio e Leno Casadio, il prete e il comunista partigiano (07/04/2017)

Il 10 aprile del 1945, Leno e Don Stefano attraversarono il fiume Senio e si presentarono, con un drappo bianco, al Comando alleato attestato sulla riva destra del Senio per invitarlo a risparmiare Cotignola da ulteriori inutili bombardamenti. Le truppe tedesche infatti erano andate via e i pochi tedeschi rimasti erano stati fatti prigionieri dai partigiani. Gli alleati, increduli, tennero in ostaggio Don Stefano e fecero riattraversare il fiume minato a Leno che, sotto la minaccia delle armi delle pattuglie Neozelandesi, consegnò il paese liberato.

Chiedo a Don Stefano: come ha fatto ad aderire al Comitato di Liberazione Nazionale?

“Mi ricordo che una volta mi chiamarono a casa di Leno. Mi sono trovato li. Non mi hanno chiesto di entrare nel CLN. Mi sono trovato lì. Dopo un po’ di tempo Taroni mi riferì che mi chiamarono perché ero una persona fidata.
Una delle volte che ci ritrovammo a casa di Leno, ci salvammo perché i tedeschi si confusero. Scambiarono la casa rosa con la casa bianca dove venne preso tuo zio, Zoli Gino.”
“Infatti la mia casa – precisa Leno - aveva due colori, era rosa e bianca.”
“Per questo episodio - continua Leno – mi accusarono, dopo la guerra. Ma noi non potevamo fare niente per salvare tuo zio.”

“Si guarda sempre e solo agli elementi negativi- aggiunge Don Stefano. Il movimento partigiano avrà certamente fatto degli errori. Chi è che non fà degli errori? Ma di per sé il movimento partigiano aveva un grande valore. De Gasperi si appoggiò al movimento dei partigiani.”

Leno, anche per te ci sono stati degli errori nella lotta antifascista?
“Sono stati commessi degli errori che sono stati immensi. Ad esempio, la decisione di tagliare i capelli alle donne fu un grande errore.
Ti voglio raccontare un episodio. Il fatto della Nerina, la Baroncini. Io ero amico di quella famiglia. Cosa fecero? La presero e la portarono nel comando partigiano, che si trovava nella casa di Bruno Ferlini. Mi mandarono a chiamare. C’era la Nerina con suo padre. Mi intimarono di stare zitto giacchè non volevo che lei fosse tosata. Mi opposi, ma la tosarono lo stesso. La famiglia non aveva fatto niente, aveva solo delle simpatie fasciste. La tosarono soltanto perché aveva delle simpatie fasciste.
A seguito di quell’episodio - ho ritrovato poco tempo fa la lettera - diedi le dimissioni da responsabile dell’Anpi, perché situazioni del genere non si potevano tollerare.”

E adesso dopo tanti anni, qual è il vostro bilancio personale, cosa ci avete guadagnato?
“Vedi, - dice Don Stefano – ci ho guadagnato la mia coscienza. Ho cercato di fare del mio meglio. Questa è stata la mia vita. Anche in Brasile, di fronte alla gravità del male che c’è, che cosa vuoi che sia stato quello che ho fatto per i bambini? E’ stato una goccia.”

Tante gocce riempiono il vaso.

“Il vaso delle cose positive – riprende Don Stefano - è un vaso che non si riempie mai. Ed ha bisogno che gli cada sempre una nuova goccia sennò l’acqua marcisce. Io lavoro, faccio quello in cui credo con entusiasmo e poi i risultati verranno. Seminiamo. Qualcosa nascerà.”

“Anch’io sono d’accordo con Don Stefano –aggiunge Leno – nella mia vita ho agito non per cercare un merito personale, ma per creare condizioni di vita migliori nella società.
E’ stato quello lo scopo della mia vita. Ma abbiamo sempre fatto poco rispetto a quello che c’era bisogno di fare.”

Mario Baldini
Conversazione tra i due protagonisti registrata negli ultimi anni della loro vita