Gianni Parmiani & Nicola Nieddu - Ai martiri del Senio (Esiste libertà senza memoria?)

Il 20 ottobre 1944, nella zona tra Lugo e Cotignola, truppe nazifasciste organizzarono un rastrellamento per colpire un gruppo di giovani partigiani delle frazioni di Barbiano, Zagonara e del sud del lughese.
Nel corso dell’operazione vengono catturati Luigi Ballardini (18 anni, di Barbiano), Renzo Berdondini (17 anni), Giovanni Dalmonte (18 anni), Domenico Facciani (20 anni), Giorgio Folicaldi (15 anni) Floriano Montanari (23 anni) e Gianni Montanari (17 anni, fratello di Floriano).
Trascinati al Comando della Brigata Nera nella Rocca di Lugo, i sette giovani più il ventenne Carlo Landi furono interrogati e torturati selvaggiamente. Landi fu ucciso il 25 ottobre e lasciato esposto come ammonimento ai piedi della Rocca, dove oggi è posta una lapide in sua memoria. I sette superstiti, in condizioni pietose, furono consegnati ai nazisti che, in una mattinata plumbea, li trascinano nella golena del Senio in piena. Lì, fatti scendere verso la fiumana, vengono fucilati uno alla volta e i loro corpi fatti rotolare in acqua. Il cadavere martoriato di Giorgio Folicaldi riaffiorò dalla melma il 2 dicembre 1944, quelli di Renzo Berdondini, Giovanni Dalmonte e Gianni Montanari vennero ritrovati il 30 maggio 1945 da parenti e amici volontari, che scandagliarono l’alveo del Senio fino ad Alfonsine, rischiando di incappare nelle mine lasciate dal fronte. Di Domenico Facciani, Luigi Ballardini e Floriano Montanari non si è trovata più traccia.
(cenni storici a cura di Gian Luigi Melandri, dell’Istituto storico della Resistenza di Alfonsine)


L’è un dè amanê d’barten
coma che dè
e in ste silenzi e’ temp
u s’è ṣmarì tra e’ lom e e’ scur de’ zil di mi pinsir
ch’j è una fiumâna d’parchè ch’ i s’dà la vóṣ.

I rapa so ins l’êrẓan chi burdel
e i fa fadiga.
Al mân lighêdi d’dri da la schena
al cmenza a sangunê,
mo di martiri bèn piò grènd
j à ẓà padì.

Zet, staṣì zet
che a que u n’scor anson!

A Carlo e’ mat
i jj à s-ciantê al dida e al spal,
sfracasê al braz,
i jj à arblê i cavel cun un scurghen...

E lo zet. L’è stê zet
che a que u n’scor anson.

E alóra i jj à piantê do pal int j oc
e i l’à strabghê
dnenz a la Röca
ch’i l’avdes tot quènt
ardot acsè
anghê int e’ sâñgv, sot’a l’aqua ch’la ven ẓo,
parchè qui ch’i stà zet i vega e i scora.

Ins l’êrẓan de’ fion
u j è sët burdel
ch’i cala ẓo, zet zet, vérs a la fiumâna:
Gigetto l’à ẓdöt èn coma Giovanni.

Ẓdöt èn.

E Giorgio, invézi, Giorgio u n’à sól quèng.
Quèng èn.

I du fradel Floriano – ch’i jji diṣ Sestri – e Gianni
e’ prem u n’à vintrì e cl’êtr u n’à dissët;
dissët coma ch’l’à Renzo a lè dri a lo.

Dissët.
Dissët.
E vintrì èn.

E pu u j è Minghî, che lo, Minghî, u n’à vent.

Vent èn.

Quèng èn, dissët, dissët...
e ẓdöt e ẓdöt
e vent, vintrì.

(Parchè, i mi burdèl, parchè a n’scurì?)

L’ùltum salut cun j oc.

E sèmpar zet.

Ch’i scora ló.
Ch’i scora e ch’i biastema.
Ch’i ziga pu e ch’i rugia.

Schnell Partisanen! Schnell!

Ch’i spuda tot e’ vlen ch’u i ṣvaglia da la boca!

Schnell Partisanen! Schnell!

Ch’i scora ló.
Nó zet. Che a que u n’scor anson.

E pu un silenzi bur e sech ṣgarnê da la mitraglia
(che lasa ch’la scora nenca lì,
che s’la scor, aven finì d’padì).

Sët fiul
a chélz
caiché
i rozla int l’aqua
fradlé fèna a la fen
e a i vegh ch’i s aṣluntâna
purté da la fiumâna...

Adës a i sent ch’i scor,
i n’stà piò zet.

I m’dà la vóṣ
e i m diṣ:
A sen a qua pr un sogn ad Libartê
e questa l’è l’arspösta a i tu parchè.

L’è un temp ṣmarì,
ch’e’ pê ch’ u n’véga invel,
mo u j è sperânza
se sèmpr int la memôria j è viv chi sët burdel.

TRADUZIONE
È un giorno vestito di grigio come / quel giorno / e in questo silenzio il tempo /si è smarrito / tra la luce ed il buio del cielo dei miei pensieri / che sono una fiumana di "perché" che si rimandano la voce. // Si arrampicano sull’argine quei ragazzi / e fanno fatica. / Le mani legate dietro la schiena / cominciano a sanguinare / ma sofferenze ben più grandi / hanno già sopportato. // Zitti, state zitti / che qui non parla nessuno! // A Carlo il Matto / gli hanno schiantato le dita e le spalle, / fracassato le braccia, / gli hanno rivoltato i capelli con uno scortichino (che si usa per scuoiare)... // E lui zitto. È stato zitto / che qui non parla nessuno. // E allora gli hanno piantato due pallottole negli occhi / e lo hanno trascinato / davanti alla Rocca / perché tutti lo vedessero / ridotto in quel modo / annegato nel sangue sotto la pioggia che cade giù, / perché quelli che stanno zitti vedano e parlino. // Sull’argine del fiume / ci sono sette ragazzi / che scendono giù, zitti zitti, verso la fiumana: / Gigetto ha diciotto anni come Giovanni. // Diciotto anni. // E Giorgio, invece, Giorgio ne ha soltanto quindici. / Quindici anni. // I due fratelli Floriano – che lo chiamano Sestri – e Gianni / ne hanno ventitré il primo e l’altro ne ha diciassette, / diciassette come ha Renzo lì vicino a lui. // Diciassette. / Diciassette. / E ventitré anni. // E poi c’è Minghì che lui, Minghì, ne ha venti. // Vent’anni. // Quindici anni, diciassette, diciassette... / e diciotto e diciotto / e venti, ventitré. // (Perché, miei ragazzi, perché non parlate?) // L’ultimo saluto con gli occhi. // E sempre zitti. // Che parlino loro. / Che parlino e che bestemmino. // Che urlino pure e che gridino. // “Svelti Partigiani! Svelti!” // Che sputino tutto il veleno che gli straripa dalla bocca! // “Svelti Partigiani! Svelti!” // Che parlino loro. / Noi zitti. Che qui non parla nessuno. // E poi un silenzio buio e arido sgranato dalla mitraglia / (che lascia che parli anche lei, / che se parla abbiamo finito di soffrire). // Sette figli / a calci / spinti / rotolano nell’acqua / affratellati fino alla fine / corrono e si allontanano / portati dalla fiumana. // Ora li sento che parlano, / non stanno più zitti. // Mi chiamano / e mi dicono: / “Siamo qui / per un sogno di Libertà / e questa è la risposta ai tuoi perché”. // È un tempo smarrito / che sembra non andare da nessuna parte, / ma c’è speranza / se sempre, nel ricordo, sono vivi quei sette ragazzi.